Il mese scorso vi ho parlato di un convegno sulle Donne dell'Est che mi aveva particolarmente colpito. Ecco la testimonianza (si tratta del suo intervento al convegno) di una di queste donne, la dottoressa Baranova, ucraina, Presidente dell'Associazione Nadiya di Brescia. Paola Musarra | | Fuori dall'ombra di Yevheniya Baranova Sono nata 42 anni fa in una piccola città vicino a Ternopil nell'Ucraina dell'Ovest, quella, per intendersi, che confina con la Polonia, la Romania, l'Ungheria e la Slovacchia. Ucraina, che in Europa un tempo si definiva il "granaio dell'Europa" e che ora compera grano all'estero; ma che esporta... moltissimo, non in prodotti ma in persone, quasi tutte donne, molte in età fertile - e se ne va assieme a loro il nostro futuro. Ho studiato a Kemerovo (Siberia ovest) e mi sono laureata in medicina. Undici anni ho lavorato come ginecologa-ostetrica nell'ospedale della mia città, ora faccio da tre anni la governante a Brescia, una bellissima città. Peccato che non nevichi mai. Facevo il più bel mestiere del mondo, quello di far nascere bambini, il futuro appunto della nostra nazione che, per la prima volta nella sua lunga e travagliatissima storia, aveva finalmente conquistato l'indipendenza e la dignità di una nazione, all'indomani delle inaudite sofferenze dell'occupazione prima tedesca poi - terribile - russa che aveva fatto letteralmente morire di fame milioni di nostri connazionali, colpevoli di anelare alla libertà. Ho due figlie. E' arrivato poi il momento tremendo delle decisioni e della partenza: con 35 dollari al mese che arrivavano un po' sì e un po' no, non si vive in tre e c'erano anche i genitori da aiutare. L'unica soluzione, presa da milioni di donne ucraine, quella di lasciare tutto e andare via, non per "cercare fortuna" ma per cercare di sopravvivere, salvando la famiglia, far studiare i figli, aiutare i genitori. Drammatica, terribile decisione, rischiosissima. Una grande incertezza in tutto, nella mia vita quotidiana, incertezza del mio futuro e nel futuro delle mie figlie, che non fossero costrette a fare altrettanto. Niente lacrime, tacere - e bisognava andare avanti. Dopo il crollo Gli ultimi dodici anni per noi Ucraini non sono stati anni di felicità per la raggiunta indipendenza. Dopo il crollo del grande impero sovietico, in Ucraina è cambiato ben poco in meglio. Rimangono da risolvere gravissimi problemi sociali, economici e politici. Per un pieno sfruttamento delle ricchissime risorse naturali e umane mancano tecnologie moderne e si sottovaluta l'apporto che pur potrebbe essere fornito dalla scienza e dalla tecnica. In questa situazione nella quale i nostri politici, esponenti di governo, educati secondo l'ipocrisia comunista sovietica, sembra che siano adatti solo a sviluppare la corruzione... qualcuno dice: "Peggio di prima", Tre successivi cambiamenti di moneta, una svalutatissima hrivna, salari e pensioni da fame. Il sistema sanità e istruzione, che era il nostro orgoglio, in crisi tremenda. Non c'è sviluppo, né affidabilità del sistema bancario. Non si sono elaborate norme di legge per una efficace protezione della proprietà privata né tanto meno per lo sviluppo dell'economia, dell'industria, dell'agricoltura. Qui si sente tanto parlare di una nuova civiltà della conoscenza, della globalizzazione... Che differenza. Per tutti questi motivi e per non annegare nella povertà economica e spirituale, per aiutare le proprie famiglie, circa sette - otto milioni di Ucraini (sui 47 totali che conta l'intero paese) sono costretti ad emigrare. Qui in Italia sono presenti circa cinquececentomila cittadini ucraini (così ha dichiarato l'ambasciatore ucraino al l° Congresso degli Ucraini in Italia nel maggio del 2003 a Roma). Dare numeri più precisi non è possibile, perché il processo migratorio è un fenomeno molto dinamico e mancano documentazioni aggiornate. Fino al 2003 il permesso di soggiorno era una rarità per gli Ucraini, si parlava di circa ventimila persone. La maggioranza degli immigrati ucraini sono arrivati in Italia gli ultimi tre - quattro anni. Le "badanti" La legge Bossi-Fini ha fatto emergere moltissimi clandestini, prevalentemente donne, che si dedicavano silenziosamente ad un servizio che nessuna italiana voleva più fare, quello della "badante" o quello della "colf": "Sei Ucraina, dunque ... sei una badante". Si sono sprecati elogi per questa nostra misteriosa e bellissima apparente vocazione, assai apprezzata dalle donne italiane, di dare la nostra vita, quando i loro genitori e nonni stanno morendo. Per un paio di mesi, chiuse in casa, senza poter parlare, con i nostri stentati sorrisi. Poi si cambia famiglia, resta anche il rimpianto di quella povera persona morta cui volevamo bene e che, sul finire della vita, ha trovato qualcuno che gli voleva bene, con un sorriso e una gentilezza, anche se non sapeva parlare l'italiano. Quale il nostro futuro? Torniamo a casa e tutto è cambiato. I nostri ti guardano in maniera diversa, anche i tuoi figli... Si ritorna in Italia con la testa vuota e il passo pesante a sperare di uscire dal tunnel. Ecco la speranza che la nostra lingua chiama Nadiya, una parola che ha un suono dolce e prolungato: nadiyyya, speranza. Nel dicembre 2002 abbiamo fondato a Brescia una associazione con questo nome, ci troviamo nei ritagli di tempo, scriviamo, stampiamo, diffondiamo il nostro giornaletto, che si chiama "Messaggero della speranza", un piccolo segno per continuare a sperare, ad aiutarci, ad informarci, a far capire agli Italiani che non siamo solo... badanti. Non siamo il popolo delle badanti: l'Ucraina è un paese europeo con una grande cultura europea e una tragica storia. Alcuni dati Oggi in Italia ci sono circa 120.000 Ucraini regolarizzati, il 90% sono donne. Di queste, il 73% sono donne di un'età compresa tra 36 e 55 anni e con figli dagli 8 ai 22 anni (questi dati sono forniti dalla facoltà di sociologia della Pontificia Università Gregoriana). Moltissime nostre donne, la stragrande maggioranza, sono diplomate o laureate: medici, ingegneri, avvocate, insegnanti, economiste. Ma fanno le badanti. Né d'altra parte le nostre lauree sono riconosciute. Teoricamente si potrebbe seguire la difficilissima strada di reiscriversi al penultimo anno della facoltà dopo un esame, ma con pochissimi posti a disposizione, e riprendere a studiare con i ragazzi italiani... con l'animo sgombro da preoccupazioni e tanto tempo libero... Davvero le condizioni ideali per prendere un'altra laurea. E uscire fuori dall'ombra. ... uscire dall'ombra... Molte vogliono tornare in Patria per uscire dall'ombra e tornare... nella luce. Altre scelgono la strada dell'integrazione, del ricongiungimento familiare, tentano una nuova vita, altre muoiono per strada, lontane dalla luce. Ci aiuta la fede, quella briciola di fede che ci è stata trasmessa, di nascosto, quando eravamo piccoli, forse dalla nonna o da un prete che era venuto di notte a battezzarci, con le finestre e le porte oscurate. L'Ucraina dell'ovest è in maggioranza di religione cattolica con rito bizantino, che si riferisce al Papa di Roma. L'altra parte del territorio ucraino si riferisce prevalentemente alla Chiesa ortodossa dei tre Patriarcati: la Chiesa del Patriarcato russo, la Chiesa del Patriarcato ucraino e la Chiesa autocefala. Anche queste belle divisioni abbiamo... Nel dicembre 2003 è stata creata l'Associazione cristiana Ucraini in Italia, con sede a Roma. Agli Italiani però dobbiamo dire grazie, quanti amici abbiamo trovato, quanti incoraggiamenti, quante attività di sostegno e di aiuto, quante bellezze da scoprire, quanti sorrisi e strette di mano, quanta ospitalità. Sono più le luci che le ombre in italia e guardiamo in alto, non vediamo le nostre cicogne volare, ma i nostri pensieri, le nostre speranze ed il sorriso di quanti ci hanno voluto bene. Vorrei concludere leggendovi una poesia che interpreta i miei sentimenti e che è stata pubblicata in un libretto dal titolo "Piccole ballate". E' opera di donne ucraine in italia. Le poesie sono state raccolte e tradotte dalla mia grande amica Olga Vdovychenko, con il valido aiuto di un'altra nostra amica, la giornalista bresciana Delfina Lusiardi. La professoressa Macioti ha detto nel suo intervento al convegno che "la donna è una creatura fragile". Purtroppo noi, donne ucraine, non possiamo permetterci di essere fragili. Perché la nostra vita è così. Bisogna saper attraversare la vita, perché infatti ogni traguardo partorisce una partenza, e non si deve divinare il futuro, e non vale la pena rimpiangere il passato. Bisogna vivere, in qualche modo bisogna pur vivere, e temprarsi acquistando la tenacia e l'esperienza. E non si deve divinare il futuro, e non vale la pena rimpiangere il passato. E' così. E le cose potrebbero andare anche peggio. Potrebbe essere molto, molto peggio... Perciò, finché la mente non è amareggiata dal dolore, non esser schiavo, ridi come un bambino. Quello che sarà - lo vedremo, tutto ciò che non è mai stato perdonato. L'unica cosa che dipende da noi ancora - Il resto della vita vivere dignitosamente. |
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1 commento:
Io mi chiamo Luca, ho conosciuto una stupenda badante ucraina, il suo nome è Halina, che si trova, anzi si trovava fino ad un'ora fa, a svolgere il lavoro sopracitato pur essendo una ginecologa che lavorava a Ternopil. Mi ha fatto capire enormi cose di come è differente la vita tra noi, mai contenti e loro, alla ricerca di una felicità, essendo, lei e suo marito anch'esso medico, di un livello sociale abbastanza elevato. Forse non la vedrò più, sono stati giorni di chiacchierate meravigliose, di risate, di voglia di vivere. Chissà se l'autrice di questo pezzo la conosce, lavorando nel suo stesso ospedale. Una donna bionda di quasi 46 anni che ha fatto capire tante cose ad un Italiano di 45 anni. Un grande insegnamento di vita
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